Io sono Libero
Era una bellissima giornata di aprile di 55 anni fa quando
sono arrivato.
Io sono Libero, non è uno stato d’animo, ma è il mio nome.
Si lo so, mia mamma poteva risparmiarmelo, ma anche se l’universo intero le
remava contro, lei si è incaponita e mi ha chiamato così.
Con un nome così non ho avuto una vita facile, ma ho avuto
la giustificante per fare un sacco di cagate! Alla fine sono Libero.
A parte questa, che potevo risparmiarmela, mi sono divertito
un sacco. Se dovessi fare un riassunto della mia vita direi che è stata uno
spettacolo. Da piccolo mia mamma me ne faceva fare di tutti i colori, mi
ricordo che una volta mi ha vestito da “roncioso”, mi ha messo una parrucca con
i rasta e mi ha attaccato 3 peluches al guinzaglio, si non era una madre normale
ma alla fine me la sono trovata così e me la sono dovuta tenere.
Sono sempre stato un bambino creativo, distruggevo di tutto
con l’intento di rimontare a modo mio, così venivano delle “sculture
postmoderne” che non capiva mai nessuno, mia mamma sclerava perché le
distruggevo il suo “ordine-disordine compulsivo” ma poi diceva che secondo lei
sarei diventato uno strafigo pazzo e creativo, e quindi io usavo questa scusa
per far cazzate vere e proprie. Me ne sono sempre un po’ approfittato delle sue
aspettative su di me, quando si è convinta che dovevo suonare uno strumento mi
ha portato in un negozio e mi ha detto “ amore scegli quello che ti piace di
più, quello che ti chiama e la mamma e papà te lo comprano” io subito mi sono
lanciato sulla batteria, a i miei è venuto un colpo, poi si sono convinti e mi
sono ritrovato con una baby batteria, passati gli anni sono passato alla
chitarra perché ho capito che cuccavo di più.
Quindi un bel giorno, prendo la mia magnifica chitarra
guardo mia madre e mio padre e li avviso che ho preso una decisione: io, i miei dread e la mia chitarra ce ne
andiamo a Londra. Immaginatevi mia madre, una creativa, maniaca compulsiva,
possessiva, emotiva, insomma una piaga che entra in paranoia e tenta di
mantenere la calma – cosa impossibile per lei – mentre io le spiego che non ho
organizzato niente ho solo preso il biglietto e trovato un ostello dove
dormire. Se le confessavo che fumavo come un turco, forse avrebbe reagito
meglio.
Detto ciò mi vivo i miei anni migliori “alla spera in Dio”,
conosco un sacco di gente, passo da un lavoro all’altro come niente, finisco a
convivere con un francese, un tedesco e un napoletano - sembra una barzelletta,
ma vi giuro che è così - quando chiamavo a casa via skipe le domande retoriche
erano: “hai mangiato? Ti diverti? Quando torni?” E soprattutto mi diceva sempre
“ non dirmi niente delle zozzerie che fai, l’importante è che non fai piangere
le ragazze”.
Non ho parole. Mio padre quando la sentiva parlare rideva
sempre, e mi diceva “non dirle a lei ma trombane mille”. Devo dire che se si
fossero vissuti il ‘68 ci sarebbe stato da ridere.
È li che ho conosciuto Linda.
Linda, la donna della mia vita, il mio “puntino sulla i”, la
mia complice, la mia tessera del puzzle mancante.
Gli psicologi dicono che alla fine in una donna cerchi un
pezzo di tua madre, devo dire che Linda ha molte cose simili a mia madre, Linda
è lunatica ma tenera quando vuole, è possessiva ma è anche quella che se per
due giorni non ti vede non muore, Linda è tutto. Infatti è la madre dei miei
figli. Appena i miei hanno scoperto che sarebbero diventati nonni, mia mamma ha
iniziato a piangere e a chiedermi come li avrei chiamati, solo per farsi un
tatuaggio! Mio padre stava già pensando a quale canzone poteva scrivergli,
stiamo parlando di due elementi che hanno avuto il coraggio di chiamarmi
Libero.
Quando ho capito che sarei diventato papà di due gemellini,
ho capito che era giunto il momento di togliermi i miei dread e cambiare stile
di vita, che magari scolarmi cento birre non mi avrebbe reso un mago nel cambio
del pannolino e che forse sarebbero cambiate un po’ di cose. Così cambio vita e
mi trasformo, finisco a fare il grafico web designer, e Linda smette di fare la
fotografa e inizia a fare la cassiera part-time all’Esselunga – il magico
supermercato che mia mamma definisce “la fiat del futuro” perché dice che ai
suoi tempi aveva dato modo ai suoi amici di crearsi una vita - e così ci
creiamo la nostra isola felice.
Vi starete chiedendo perché faccio questo resoconto della
mia vita, semplice, l’altro giorno mi è arrivato un messaggio da un mio caro
amico – Stefano il napoletano della “barzelletta di Londra” – che diceva: “ ho
trovato ieri il diario di bordo di Londra, il giorno del tuo compleanno avevi
scritto una frase di Andy Warhol che diceva -
non è forse la vita una serie di immagini che si modificano solo nel
modo di ripetersi?- chissà che cazzo avevi per la testa.” E ho pensato a un po’
di cose.
Mia mamma mi ha sempre immaginato un creativo, uno che
sarebbe finito a suonare chissà dove, un mezzo hippie un po’ strano ma estremamente
romantico, uno che avrebbe potuto fare qualsiasi lavoro, uno che poteva essere
e diventare qualsiasi cosa. Poi sono diventato padre, e mi sono immaginato i
miei figli che facevano gli avvocati, i medici, o qualsiasi cosa, ho sempre
sperato che fossero felici, che la vita gli riservasse un sacco di possibilità,
quindi li ho visti crescere, fare le loro esperienze, e diventare delle
persone eccezionali anche se un po’ diverse da quello che immaginavo.
Ora mi trovo qui seduto in aeroporto ad aspettare Loris, mio
nipote, che torna da Londra, con la sua chitarra, i suoi tatuaggi, le sue
canzoni e un nuovo amore pronto a raccontarmi le sue avventure.
Io sono qui, pronto ad ascoltare la sua storia che so già
che inizierà con “ nonno, tu non ci crederai mai, ma la vivevo con un francese, un tedesco
e un napoletano, lo so sembra una barzelletta, ma non sai quante me ne sono
fatto!”.
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